mercoledì 10 gennaio 2018

Crema di bulbi d'aglio orsino





Noi abitualmente mangiamol'aglio orsino in primavera, quando riveste i sottoboschi umidi con un grande tappeto di foglie e fiori. In quella stagione ho provato ad assaggiare i bulbi e, trovandoli meno buoni di altre parti, ho deciso che era meglio non raccoglierli.
Lo scorso inverno invece, servendomi questa pianta per fini terapeutici, ho preso i bulbi, che erano l'unica parte reperibile in questa stagione, ed ho così scoperto che nei mesi invernali sono buonissimi!



Hanno un gusto piccante ed un profumo intenso, così ho provato ad utilizzarli per la stessa salsa che faccio in primavera con le foglie.
Quando raccogliete gli agli lasciate quelli piccoli e ripiantateli subito.


Vi occorre un formaggio caprino fresco e di gusto un pò acido, una manciata di agli e dell'olio evo.


Mettete i bulbi di aglio in un grosso contenitore a bicchiere, aggiungete l'olio e frullate con un frullino a immersione finchè si forma una salsa omogenea. Aggiungete il formaggio ed il sale, continuando a frullare.




Io, siccome non posso mangiare glutine, ho messo questa crema su delle crepes di farina di castagne.
Il gusto è decisamente agrodolce, ma a me piace e lo trovo anche un accostamento meno banale. Altrimenti potete usare dei normali crostini di pane.


Se non avete l'aglio orsino nel vostro giardino e lo andate a raccogliere nel bosco, quando ne volete prendere di più da usare altre volte, per conservarlo bene non eliminate le radici e mettetelo in un vaso, coprendolo con sabbia o terriccio che vanno tenuti umidi.  







giovedì 4 gennaio 2018

Zuppa paleolitica (zuppa selvatica invernale)

Questa ricetta di zuppa selvatica invernale è ispirata a quelle paleolitiche descritte nei romanzi del ciclo di "Ayla figlia della terra", della paleontologa Jean Auel, ambientati trentamila anni fa e molto accurati nella descrizione di ambienti naturali, utensili, animali ed erbe.


Ho provato a farla un pò per gioco, anche perchè volevo trovare un utilizzo non banale per le radici selvatiche commestibili che ho scoperto di recente.
Pensavo che risultasse un piatto lontano dai nostri gusti e da mettere poi a punto, invece, con mia grande sorpresa, è riuscita buonissima!
Non si possono fare generalizzazioni sull'alimentazione del paleolitico, ovviamente, essendo un periodo di tempo lunghissimo, ma al suo interno ci sono state anche popolazioni estremamente civili, che avevano una grande varietà alimentare e conoscevano una quantità di piante commestibili che in confronto  anche noi esperti di erbe sappiamo ben poco. Pare avessero anche una cucina complessa e raffinata.
Io immagino che ci fossero popoli un pò simili ai Nativi del Nord America, per quel poco che abbiamo conosciuto di loro prima di sterminarli, infatti anche questi ultimi erano cacciatori-raccoglitori e sapevano nutrirsi di una quantità di cibi incredibile. Erano anche molto longevi, non conoscevano le cosidette malattie del progresso e preservavano la meravigliosa complessità della natura, ma qui il discorso si fa troppo lungo, d'altra parte nessuno ha interesse a dire che, invece di imparare da loro le conoscenze che avevamo perduto, li abbiamo uccisi e abbiamo distrutto la loro cultura.

La zuppa paleolitica la preparo sempre in maniera diversa, a seconda di cosa ho a disposizione.
Si basa su cibi conservati (carni affumicate, frutti di bosco e funghi essicati) e su  cacciagione, bacche e radici reperibili d'inverno.





Questi sono i possibili ingredienti da usare, non è necessario averli tutti:

carne (io solitamente uso il cinghiale) tagliata a piccoli cubetti

pancetta affumicata di buona qualità

bulbi di aglio orsino, o di agli selvatici misti

radici spontanee: bardana, pastinaca, cardoncello, barba di becco, raperonzolo, cicoria, etc. Potete mettere anche solo 2-3 varietà di radici, se non ne avete altre, l'importante è stare attenti ad equilibrare i gusti, ad esempio se usate una radice molto dolce come la pastinaca abbinatela alla cicoria o al tarassaco, amari

mirtilli o uva spina essicati

piccoli frutti semiselvatici come meline o pere volpine, sbucciati e tagliati in quarti

bacche fresche o essicate (rosa canina, azzeruole, etc)

timo, rosmarino, eventuali altre erbe aromatiche a vostra scelta

bacche di mirto

funghi secchi (il più adatto è il Craterellus cornucopioides)

Ovviamente non la cuoccio in uno stomaco di uro come vorrebbe la ricetta autentica, ma in una normale pentola, preferibilmente sulla cucina a legna.

Rosolate la carne con l'aglio e la pancetta, coprite d'acqua, salate, aggiungete le bacche, i frutti di bosco essicati, i funghi precedentemente ammollati, le erbe aromatiche.
Fate bollire a fuoco basso per circa due ore, mettete le mele e/o le pere e le radici tagliate a rondelle e cuocete per un'altra ora, o comunque finchè gli ingredienti sono tutti teneri.
La zuppa deve risultare piuttosto liquida, va mangiata col cucchiaio.

Ultimamente, anche se non ho scritto, ho studiato molto e scoperto tante altre piante commestibili, che normalmente non sono conosciute ed usate tranne che in piccole zone isolate, o nei paesi dell'Est. In particolare mi sono appassionata alle radici. Molte piante anche comuni hanno radici edibili, ma quasi nessuno lo sa. Io pensavo che fossero cadute in disuso perchè poco buone e che somigliassero alle rape(una delle poche cose che non mi piacciono), invece le sto sperimentando e le trovo buonissime, prossimamente ve ne parlerò in maniera più dettagliata.




giovedì 22 dicembre 2016

Radici di tarassaco lattofermentate


E' da tantissimo tempo che non sono riuscita a scrivere nel mio amato blog, ma ora sto meglio e sono nuovamente qui.
Nel frattemo però ho studiato, e mi sono fatta affascinare dal mondo dei cibi che usavano i nostri antichi progenitori nel paleolitico(che sono una cosa completamente differente dalla dieta paleo!), dagli usi dei Nativi Americani (anche se avevano piante diverse dalle nostre, penso che la loro alimentazione fosse molto simile a quella dei nostri cacciatori-raccoglitori), dalle tradizioni sulle piante commestibili sopravvissute in alcuni paesi, come ad esempio la Polonia.
Lo sapevate che sono stati trovati siti di popolazioni paleolitiche che, a differenza dei successivi agricoltori, erano molto alti e longevi? Queste loro caratteristiche pare fossero dovute alla grandissima varietà alimentare. Anche i Nativi Americani avevano una vita molto lunga e non soffrivano di tante nostre malattie, sempre a causa della incredibile quantità di cibi di cui si nutrivano, ma invece di imparare da loro abbiamo pensato bene di sterminarli e distruggerne la cultura.
Io pensavo di essere un'esperta di erbe, ma ho scoperto un mondo vastissimo che non conoscevo: altre radici, bacche, corteccie, pollini, gemme, amenti, boccioli, semi, foglie, steli.
E la lattofermentazione, che come saprete è un sistema antichissimo per conservare i vegetali, che invece di impoverirli li arricchisce di enzimi, vitamine e batteri benefici.
E' il sistema con cui si conservano i crauti, ma si possono fare anche tante altre verdure e parti di piante selvatiche.
Da noi è caduto in disuso da molto tempo, ma per fortuna si è mantenuto in alcuni paesi, specialmente del Nord e nell'Est dell'Europa, ed ora lo si sta recuperando.
Su internet troverete infatti una quantità infinita di siti che ne parlano.
Io sto sperimentando la fermentazione delle piante selvatiche: ora in particolare, poichè è la stagione giusta, quella delle radici.








Questo è il momento migliore per raccogliere le radici, perchè hanno accumulato le sostanze di riserva della pianta, ma allo stesso tempo sono spesso ancora individuabili facilmente: ad esempio il tarassaco, dove abito io, in gennaio non si troverà più, perchè il gelo avrà bruciato le foglie.
Quindi conviene fare ora la scorta per l'inverno.



Per prima cosa ho tolto le radici dal terreno con la vanga, le ho pulite dalla terra e dalle foglie estene, poi le ho lavate, spazzolate e tagliate a pezzetti.
Nel frattempo ho fatto sciogliere in acqua calda non clorata un cucchiaio di sale integrale (30 gr) per litro e l'ho lasciata raffreddare.



Ho disposto in un vaso sterilizzato i pezzi di radice, li ho coperti con una foglia di cavolo, messo l'acqua salata e fermato il tutto con due pezzi di rametto di vite, in modo che rimanesse sotto il livello dell'acqua. Questo è fondamentale, se delle parti rimangono sopra l'acqua ammuffiscono, compromettendo la preparazione.



Ora starà nella credenza della cucina al caldo e al buio per una settimana-dieci giorni, poi lo metterò in una dispensa fresca.
Le radici di tarassaco sono adatte anche da conservare in misti con altre verdure, ad esempio con cavolo cappuccio o cavolfiore, carote, foglie di finocchio marino, sedano rapa.



giovedì 17 settembre 2015

Crepes di grano saraceno al buon enrico


In montagna sta già arrivando l'autunno.
In questo momento, dopo un'estate bruciata dall'anticiclone africano,  sono ben poche le erbe a nostra disposizione.
Una delle poche ancora fresche e utilizzabili è il buon enrico (Chenopodium bonus enricus), che cresce spontaneo in montagna vicino alle malghe, in terreno umido e arricchito dal letame delle mucche.

malga in montagna: vicino crescono ortiche, romice, rabarbaro alpino e buon enrico

Quest'anno ho sperimentato la sua coltivazione a quota bassa, cioè nel mio orto a 500 metri slm. Pensavo che avesse problemi a causa dell'estate troppo calda, invece è cresciuto benissimo. Non l'ho piantato in pieno sole, perchè ho notato che le erbe che in montagna crescono in posizioni soleggiate si trovano a volte anche in collina, ma all'ombra.
Il mio l'ho messo sotto un pero ai margini dell'orto, in terreno ben concimato che riceve il sole del mattino.
Le mie piantine però sono ancora piccole e hanno poca semente, così sono andate in montagna a prendermi i semi che mi servono e ne ho approfittato per raccogliere anche le tenere foglie nuove da cucinare.

una distesa di buon enrico(Chenopodius bonus enricus)

Il buon enrico è detto spinacio di montagna e rispetto agli spinaci dell'orto ha un gusto più dolce. Contiene anche lui, come quello ortivo, acido ossalico, per cui è meglio mangiarlo cotto in quanto gran parte di questa sostanza viene eliminata con la cottura. In conpenso ha circa tre volte più vitamine e sali minerali degli spinaci normali.



Ed ecco il mio piatto preferito col buon enrico, le creps.
Queste creps sono fatte col grano saraceno: io avevo scoperto nei miei esperimenti che sono buonissime e più adatte di quelle di farina di grano ai piatti rustici come questo, poi ho visto girando su internet che in tante zone della Francia, in particolare in Bretagna, per i piatti salati le creps si fanno appunto così e vengono chiamate gallettes, mentre quelle con la farina di grano solitamente si usano per le preparazioni dolci.


Ingredienti (per 8-10 crepes):

260 gr di farina di grano saraceno
540 ml di acqua
2 uova
un cucchiaio d'olio
un cucchiaino di sale

per il ripieno:

mezzo kg circa di buon enrico
una tazza grande di besciamella (fatta con la fecola se volete la versione senza glutine)
100 gr di toma d'alpeggio
burro: qb
sale




Prendete una ciotola e mettete la farina di grano saraceno, il sale, unite l’acqua a filo e mescolate in continuazione con una frusta in modo che non si formino i grumi.
Aggiungete anche l’olio e le uova e mescolate bene.
Fate riposare la pastella per almeno due ore in frigo prima di usarla.
Scaldare una padella e ungerla con pochissimo burro o olio. Versatevi mezzo mestolo di impasto spargendolo bene in modo che la crepe risulti molto sottile. Quando si stacca facilmente dalla padella giratela con una palletta.  Man mano che le cuocete impilate le crepes su un piatto.
Lessate il buon enrico (fate attenzione a non scuocerlo, cuoce molto velocemente) e salatelo, potete eventualmente anche saltarlo in un pò di burro per esaltarne il sapore.
Scaldate la besciamella in un tegamino, mescolatela con il buon enrico.
Tagliate il formaggio a dadini.
Ora prendete una crepe, spalmatela per metà con la besciamella, sopra la quale metterete del formaggio. Ripiegate la metà della crepe su cui non avete messo niente sull'altra.
Ripetete quest'operazione con tutte le crepes, mettendole man mano in una pirofila leggermente unta.
Cospargetele con piccoli fiocchetti di burro e mettetele in forno a gratinare per circa 20 minuti a 180°.
Questa ricetta si può realizzare anche sostituendo al buon enrico della barba di becco o delle ajucche.




domenica 26 luglio 2015

Dune



Come sapete io adoro le piante delle dune. In questa spiaggia a Marina di Bibbona sono capitata per caso, decidendo di partire all'ultimo minuto, da un giorno all'altro perchè ero sfinita dal caldo e dalla bronchite. Il mare a dire il vero è più belle in altre spiagge della zona, ma qui ho scoperto queste dune tenute benissimo.




Camminando sulla riva ho pensato "guarda che bel giardino hanno fatto in questa spiaggia", poi, andandolo a vedere da vicino, ho scoperto che era semplicemente la vegetazione spontanea delle sabbie.


giglio di mare (Pancrathium maritimum) e euforbia marittima (Euphorbia paralias)


Non capisco proprio quelli che continuano ad ostinarsi a voler fare prati all'inglese al mare, o a mettere ingiardino tutte piante esotiche, che poi sfuggono alle coltivazioni e soffocano la vegetazione autoctona, quando si potrebbero fare giardini stupendi con le nostre piante.

Qui non c'è una grande varietà di piante, ma il pregio di quest'area è che per fortuna non si sono ancora diffuse infestanti alloctone come in altre aree protette della costa, ad esmpio a Migliarino o a
Lido di Classe.


Guardate che bella anche la vegetazione mediterranea alle spalle delle dune, così fitta e rigogliosa!


eringio(Eryngium maritimum)

Molto numerosi sono i gigli di mare (Pancrathium maritimum), che erano fioriti proprio quando sono andata, l'euforbia marittima (Euphorbia paralias), che io adoro, e l'eringio(Eryngium maritimum).


sabato 21 febbraio 2015

Hamamelis


i miei piccoli Hamamelis "Aurora", "Livia" e "Pallida"

Eccomi ritornata al mio blog dopo tantissimo tempo in cui non riuscivo più a scrivere.
Nel frattempo ho traslocato, anche il vivaio, e ho iniziato a coltivare altre piante, in particolare piante per i giardini d'inverno, perchè qui l'inverno è lunghissimo e grigio e si sente molto la necessità di qualcosa che lo rallegri: bacche e cortecce colorate e i rari fiori invernali, solitamente piccoli e profumatissimi.
Proprio il loro profumo è stupendo, perchè porta l'emozione della primavera nel cuore dell'inverno. I primi a fiorire sono il calicanto e l'evonimo, in dicembre e il raro prunus subhirtella autumnalis, poi da gennaio gli hamamelis e i viburni ed in febbraio la lonicera fragrantissima e la dafne.


Oggi, anche se pioveva, sono andata a visitare il Giardino degli Hamamelis del dott. Cammarano a Borgomanero, per chiedergli alcune informazioni e deliziarmi della vista del suo magnifico giardino.
Non potevo andare in un altro momento(anche se il giardino è visitabile negli ultimi due fine settimana di febbraio e nel primo di marzo), e così siamo andati sotto la pioggia: tutto grondava acqua e le foto non sono granchè, ma in compenso il giardino era tutto per noi.





La disposizione è fatta a stanze, divise da archi, siepi, portali: ogni volta che ne oltrepassi unorimani stupito dalla sorpresa.


Tutti i particolari sono incredibilmente curati: panchine, statue, mangiatoie per uccellini, una vasca d'acqua(dove io rischio di cadere tutte le volte perchè mi distraggo a guardare le piante e non vedo dove metto i piedi), piccole tettoie che riparano  poltroncine di vimini.

Gli uccellini gradiscono molto il cibo appeso dentro retine attaccate ai rami degli alberi, e ce n'è un gran numero di tante varietà.






Oltre agli hamamelis ci sono belle collezioni di agrifogli, aucuba, salici e cornus.


sullo sfondo, coi rami rosati, la mia preferita: Acer conspicuum 'Phoenix'


Il dott Cammarano è molto gentile e competente, il giardino assolutamente delizioso.

Questi sono invece i miei piccoli Hamamelis sotto la neve.


Hamamelis "Pallida"

Hamamelis "Aphrodite"

Hamamelis "Diane"


la neve sul mio vivaio